Nata nel 1953 a Kuilsrivier in Sudafrica, Marlene Dumas rappresenta una delle potenze femminili più forti nel mondo artistico e si inserisce in pieno nell’arte post-femminista di rottura.
L’artista studia a Città del Capo nei primi anni settanta, per poi trasferirsi nel 1976 in Olanda, ad Amsterdam dove si laurea presso il dipartimento di psicologia ed entra a far parte ad Haarlem di “Atelier ‘63”.
Nel 1982 avviene il suo debutto come artista: viene invitata a Documenta VII di Kassel, a cui fa seguito nel 1983 la sua personale “Unsatisfied Desire” tenutasi ad Amsterdam presso la Galerie Paul Andriesse e l’anno seguente partecipa alla IV Biennale di Sydney. Dumas vince innumerevoli premi artistici e partecipa ad altrettante mostre, tra le più importante la sua retrospettiva presentata nel 2001-2002 al Centre George Pompidou e la mostra “Global feminism” al Brooklyn Museum di New York che consacrerà l’artista come protagonista della ricerca femminista e post-femminista sviluppatasi negli anni ’80 e ‘90.
La sua è un’arte mentale, politica ed intimista. Un “Espressionismo concettuale” che unisce la libera gestualità dell’espressionismo alla distanza critica dell’arte concettuale. I suoi quadri colpiscono per quella carica erotica e per quella sottile energia provocatoria e dissacrante che si percepisce sotto le sue pennellate veloci e che è capace di mettere in discussione gli svariati stereotipi della società contemporanea.
Le sue opere toccano temi socialmente impegnati come: gli stereotipi razzisti, l’apartheid, l’identità, l’amore, la violenza, la morte, la perversità, la religione, la follia. Le sue pitture sono totalmente incentrate sulla figura umana, ambito privilegiato dell’artista, che occupano prepotentemente l’intero spazio bidimensionale del supporto con la loro presenza fantasmagorica e seduttiva. Le sue figure sono sradicate dalla cultura popolare di massa, immagini preesistenti, fotografie, per essere rielaborate e caricate di vita nuova. Non indicano mai classe sociale o provenienza ma sono degli emblemi essenziali all’artista per svelare la falsità e l’inadeguatezza umana radicata nelle costrizioni sociali.
Tratto i volti con una certa eguaglianza. In esse i ‘sani’ sembrano un po’ pazzi, i pazzi sembrano sani di mente e tutti stanno cercando in un modo o nell’altro di sedurti… uso qualsiasi trucco che possa attirare l’attenzione; gli occhi che ti guardano direttamente, zone sessuali esposte o deliberatamente coperte…la forza di attrazione primitiva che nasce dal riconoscimento; l’immagine che si prostituisce. Ti trovi obbligato a dire ‘sì’ o ‘no’.
Tra le sue opere più incisive c’è la serie dei centodieci disegni Black Drawings (1991-1992), in cui dipinge ritratti di persone nere (giocando così con il titolo tra il nero dell’inchiostro e il nero della pelle). Cresciuta bianca in Sudafrica Dumas non è stata vittima delle discriminazioni razziali, ma parte di un sistema sbagliato. Nonostante l’anonimato del personaggio, ogni volto assume fisiognomiche proprie contrariamente alle riproduzioni etnografiche. Con questo gesto l’artista sposta l’attenzione sull’identità di ogni singolo individuo evitando giudizi morali e luoghi comuni.
L’opera di impatto sociale Dead girl (2002) nasce da una fotografia di cronaca che ritraeva una giovane terrorista uccisa durante un raid per liberare l’aereo dirottato da lei e i compagni.
“L’arte non è uno specchio. L’arte è un’interpretazione di quel che non conosci, ma di cui vuoi convincere gli altri, o meglio, è ciò che nessuno conosce, ma grazie al quale tutti possono essere indotti a credere che malgrado la ‘cosa’ sia un male, invece è un bene; è un bene non avere ciò che si desidera di più”.
Un articolo di Daisy Triolo