L’artista belga Jan Fabre disegna e scrive con i propri liquidi corporei, lacrime, sperma, sudore e sangue per rendere i flussi vitali del proprio corpo materia artistica.
Questi lasciano le tracce del loro scorrere fluido sul supporto fino a coagularsi nelle forme, creando disegni di natura pittorica. Attraverso l’uso dei liquidi corporei l’arte diventa testamento fisico dell’artista, del suo sacrificio.
C’è una forte interazione fra l’immagine e il contenuto testuale, perché le lettere sono utilizzate tanto per il loro contenuto, che per la loro forma geometrica e pittorica, diventando segni di un vero senso estetico.
La parola è duplicazione del corpo che al tempo stesso genera i grafemi e indica sé stesso.
Per cui il testo ha un duplice peso: sia come significato comunicativo, sia come significante che intensifica l’atto di utilizzare il sangue da parte dell’artista.
L’immagine emersa dal sangue coagulato diventa anche simbolo della battaglia per l’arte, in cui il foglio è lo scenario nel quale l’artista si sacrifica per una creazione autentica.
L’artista rinasce nel suo sangue, caldo e vitale, aperto al mondo esterno. Diventa quello di cui è fatto e lo espone con consapevolezza, lasciando uscire il potere, il flusso vitale racchiuso nel suo corpo.
“Il sangue oggi è come oro”, è un materiale prezioso, e Fabre lo lascia scorrere così che inizi una vita propria, indipendente dal suo corpo.
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