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Corrado D’Ottavi

Nato  a Roma nel 1934,  ma attivo  principalmente  a Genova,  Corrado  D’Ottavi  si può considerare  uno  dei  principali  esponenti  della  poesia  visiva  italiana.

Influenzato dalla volontà ­ tipica del secondo dopoguerra ­ di operare  un  superamento  dei  linguaggi  e  di  adeguare  l’intervento  artistico  ai  mutamenti sociali,  politici  e  culturali  di  quegli  anni,  l’artista  pone  alla  base  della  sua  ricerca  il problema dell’integrazione tra immagine e parola, partendo da un’analisi approfondita dei risultati raggiunti  dalle  cosiddette  Avanguardie storiche ­  dal  Dada  al  Futurismo fino  al Costruttivismo ­ a cui coniuga un rinnovamento degli strumenti comunicativi.

Nelle prime opere, realizzate tra il  1958  e il  1960, D’Ottavi  ben  presto rinuncia  a  una scrittura  a mano  con inserti di ascendenza informale e approda a esperimenti di tipo collagistico, dove a lacerti colorati  si  assemblano  frammenti  verbali  provenienti  da  pubblicazioni  diverse,  prima dattiloscritti  e poi a stampa. Chiaro esempio è rappresentato da Libertà, opera del 1958/59 in cui forse per la prima volta si assiste all’unificazione tra linguaggio verbale e linguaggio visivo.  In  essa,  il  livello  dei  significati  viene  ridotto  a  un  insieme  di  parole  isolate, raggruppate  in  coppie  per  affinità  o  contrasto,  dove  sono  più  i  testi  che  l’immagine  a guidare l’impaginazione.

Distanti, invece, gli esiti raggiunti nelle opere successive, non solo per l’adesione sempre più marcata ai moduli del linguaggio pubblicitario e all’immediatezza del suo messaggio, ma  soprattutto  per  la  cruda  e  violenta  trattazione  di  temi  che  vanno  dalla  repressione politica alla fame dei paesi sottosviluppati fino alle mistificazioni dei media e all’incapacità per l’ arte d’avanguardia di misurarsi con questi problemi. In Ognuno vede ciò che sa del 1967, fotografie della guerra in Vietnam tratte da vari quotidiani sono poste in sequenza su un luttuoso fondo nero. La combinazione di questi elementi, unita  a pochi commenti sulle cifre  dei  morti  e  sui  costi,  fa  dell’opera  simbolo  del  silenzio  dell’artista  di  fronte  alla atrocità del conflitto.

Restando fedele alle tematiche della poesia visiva,  e  ponendo  sempre  grande  attenzione  nei  confronti  degli  equilibri  cromatici  e strutturali della  composizione,  ancora  argomenti  a  carattere politico­sociale  e di  costume domineranno  le  opere  realizzate  a  partire  dagli  anni  ’70.  Ne  La  condizione  umana  e  in Miracolo italiano, ad esempio, l’intervento sui temi più brucianti di quegli anni si alterna alla critica della civiltà dei consumi.

Siamo poeti senza parole? No  No!  Le  parole  le  abbiamo  ma  sono  consumate.  Siamo  poeti  con  parole  poco comprensibili ed anche se comprese poco credibili, parole annoiate e squalificate… Siamo uomini  che  hanno  dentro  di sé  un mondo  di  parole surgelate,  di immagini  pietrificate  e molli…  Siamo  uomini  che  gridano  e  tacciono  nello  stesso  momento  il  loro  sgomento

concluderà l’artista, prematuramente scomparso all’età di 40 anni.

Un articolo di Cetty Accetta

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