Georges Rousse è un artista francese nato a Parigi nel 1947. Dopo una laurea in medicina, Rousse decide di dedicarsi alla fotografia artistica, scegliendo come soggetti principali dei suoi scatti i paesaggi e le strutture architettoniche. La scoperta della Land Art lo induce ben presto a passare dall’intervento plastico sulla pellicola fotografica, a quello sulla realtà vera e propria, disegnando e modellando lo spazio per fini fotografici.
La sua prima mostra risale al 1981, presso la Galerie de France a Parigi. Negli anni successivi inizia a esporre nelle gallerie di tutto il mondo, partecipando a numerose biennali internazionali e vincendo importanti premi d’arte contemporanea. Le sue installazioni e fotografie si diffondono in Europa, Asia, Stati Uniti, Quebec e America Latina.
Attraverso la tecnica dell’anamorfismo, Georges Rousse deforma gli spazi con manipolazioni prospettiche e giochi ottici di distorsione illusionistica applicati alle strutture tridimensionali.
L’effetto è realizzato con un obbiettivo che deforma lo spazio e con un’immagine sovrapposta al vetro della macchinetta fotografica, dove il modello simula l’idea ricercata dall’artista per verificare la congruenza con lo spazio reale.
Il risultato è una rappresentazione che trasmette la memoria di luoghi, il quale passato è enfatizzato e distorto al tempo stesso dall’intervento dell’artista.
Georges Rousse agisce su luoghi e strutture cariche di storia e di memoria e li trasforma in sculture pittoriche ed effimere, rese eterne dallo scatto fotografico, attraverso il quale l’artista proietta il suo universo mentale e sottolinea lo stato di abbandono.
L’’opera mette in evidenza il legame tra le vistose architetture della società industriale e i concetti di memoria e di tempo legati a quegli spazi. In questo modo, Georges Rousse dimostra la possibilità di donare nuova vita alle strutture abbandonate trasformando l’immagine e rendendola dinamica, modificando la percezione che abbiamo della realtà attraverso l’immobilità dello scatto fotografico. La fotografia diventa così da documento oggettivo della realtà a rappresentazione dello scarto tra percezione immaginaria e visione comune.
La fotografia sublima gli spazi. Scarta gli elementi disturbanti. Gli odori nauseabondi, la miseria, il brulicare dei ratti. Crea uno luogo dove la seduzione si realizza in modo totale. Una seduzione che l’installazione tende ad aumentare ulteriormente, La mia fotogafia cerca quindi di cogliere la parte migliore dell’architettura in un momento specifico. E tutto ciò che rientra nell’ordine del vissuto, del quotidiano, dell’umano scompare.