Jean-Michel Basquiat fu un writer, musicista e artista newyorkese attivo negli anni ’80. Fu uno dei più importanti esponenti del graffitismo americano che, insieme ad altri artisti influenti come l’amico Keith Haring, riuscì a portare quest’arte underground dalle strade metropolitane alle gallerie.
Nato nel 1960 a Brooklyn, uno dei “borough” newyorkesi, da padre haitiano e madre statunitense di origini afro-portoricane, Basquiat mostra fin da bambino interesse per il disegno. Alla fine degli anni Settanta comincia la sua carriera come writer conoscendo nella City-as School di Manhattan un graffista Al Diaz, con il quale inizia a produrre graffiti e aforismi criptici con la vernice a spray firmandosi SAMO (acronimo di SAME OLD SHIT), adoperando il simbolo del copyright (SAMO©COME NUOVA FORMA D’ARTE) che manterrà nelle sue opere successive. Nel 1978 abbandona gli studi e per sopravvivere cerca di vendere cartoline dipinte a mano, così conosce Andy Warhol che compra alcune delle sue opere.
Solo nel 1983 riesce ad entrare nella famosa “Factory”, nucleo della Pop Art, e l’anno seguente collabora con Warhol e l’amico Francesco Clemente ad una serie di dipinti a “sei mani”. I suoi dipinti passano dalle strade metropolitane alle gallerie. La sua è un’ascesa improvvisa e rapida, così rapida che si spegne presto, come una stella. Il suo successo si concentra tutto tra il 1980, anno del suo debutto alla retrospettiva Time Square Show, che consacrerà i movimenti newyorkesi downtown (Neo-Pop) e uptown (rap e graffiti), e il 1988 anno della sua morte a causa di un overdose di eroina, dopo vari tentativi di disintossicazione e cure per i suoi disturbi psichici.
Nell’opera di Basquiat si fondono in completa armonia la cultura musicale jazz e hip hop, la letteratura beat, la cultura di massa, quella del fumetto, del cartoon e quella di strada rendendo il suo tratto inconfondibile. La sua estetica è caratterizzata non solo dai forti stilemi personali, ma soprattutto dal suo continuo impegno a favore delle minoranze di colore. La rabbia per la condizione storica di schiavitù e per quei pregiudizi razziali di un mondo ancora chiuso alla parità portano Basquiat a denunciare nei suoi dipinti le ipocrisie e le contraddizioni di una società a lui avversa. I teschi dipinti dall’artista in realtà acquistano le fattezze di maschere rituali pronti alla ribellione, come ad esempio Untitled (Skull 1981).
Attraverso soggetti di forte impronta primitiva e apparentemente infantile, che riprendono l’Art Brut di Jean Dubuffet, l’artista porta nelle sue opere la cultura dei neri d’America e dei suoi eroi caratterizzati da una corona stilizzata (a indicarne la condizione regale) che è diventato ormai un logo, o da un’aureola (simbolo di santità). Emblematici sono i casi del leader politico Malcolm X, del musicista Miles Davis e del pugile Cassius Clay (successivamente Mohammed Alì) come nel dipinto omonimo Cassius Clay (1982), sul quale Basquiat ne scrive il nome, come punto di riferimento dell’impegno a favore delle minoranze di colore. La sua personale cifra stilistica è costituita infatti anche dalle scritture che costantemente integra alle sue figure, plasmando lettere e parole chiave con abbozzi veloci ma quanto mai significativi.
Tra i suoi dipinti compaiono anche figure angeliche pronte alla ribellione, come Fallen Angel (1981), figura alata con aureola e attributi sessuali evidenti che oltrepassa la condizione di santità toccando quindi quella di tangibile carnalità. Le immagini spesso sovrapposte, con riferimento a storie passate e a vite reali, si fanno presenti nella percezione dello spettatore spesso con la simultaneità propria del bombardamento mediatico. Una stratificazione multiforme evidente anche matericamente nelle sue tele, nei supporti e nelle cornici, spesso costituiti da materiali di recupero raccolti nei cassonetti e assemblati dal suo assistente.
Io non penso all’arte quando lavoro, io tento di pensare alla vita.
Un articolo di Daisy Triolo