Nata a Denver nel 1958, la figlia d’arte Francesca Woodman è stata una fotografa statunitense dal carattere provocatorio e dall’anima tormentata. Nonostante scomparve tragicamente a 23 anni gettandosi da un palazzo di New York, la Woodman fu un’artista influente nel panorama artistico degli ultimi decenni del XX secolo.
Intraprese la via della fotografia giovanissima, quando a 13 anni ricevette in regalo dal padre la prima macchina fotografica facendosi il primo scatto.
Dopo aver studiato alla Rhode Island School of Design di Providence (RISD), nel 1977 l’artista frequentò a Roma per un anno la libreria antiquaria Maldoror e il Gruppo di San Lorenzo, dove le sue suggestioni estetiche e stilistiche giunsero a maturazione.
Tornata in America, nel 1981 l’artista pubblicò la sua prima e unica collezione di fotografie intitolata Some Disordered Interior Geometries, costituita da scatti applicati su quaderni scolastici della fine dell’800. Lo stesso anno si suicidò.
La poetica della Woodman ricorda gli echi surrealisti bretoniani, il suo lavoro si concentra sul proprio corpo nudo, a volte nascosto ed altre volte così sfacciatamente evidente ma continuamente integrato con l’ambiente circostante, in dialogo tra realtà interiore e spazio.
La cosa che mi interessava di più era la sensazione che la figura, più che nascondersi da se stessa, fosse assorbita dall’atmosfera, fitta e umida.
I suoi autoscatti sono un esplosione di gesti performativi mai bloccati nel tempo, ma in continua metamorfosi. Per creare queste immagini “spettrali” Woodman, usava esposizioni lunghe o doppie esposizioni in modo da poter operare attivamente nella fase di impressionamento della pellicola.
Tra le sue opere più note Abandoned house in cui l’artista si nasconde fugacemente dietro la carta da parati, ma con lo sguardo rivolto verso l’obiettivo, o la serie Self-deceit dove la dimensione performativa è evidente, in cui corpo e spazio si plasmano vicendevolmente.
Un articolo di Daisy Triolo