Vivian Maier è una fotografa statunitense nata a New York nel 1926. Vissuta tra New York e Chicago, lavora come tata e nel tempo libero si dedica alla fotografia documentaria, utilizzando anche filmati e audio-cassette per catturare frammenti della realtà. Caduta in povertà alla fine degli anni ’90, muore nell’aprile del 2009 in una casa di cura.
Il percorso artistico di Vivian Maier non è riconducibile ad una corrente artistica specifica. La fotografa ritrae ciò che le sembra degno di nota, sviluppando solo parte dei negativi, come se volesse custodire per sé le immagini catturate con la sua Rolleiflex 6×6.
Questi scatti sono stati riscoperti nel 2007 dal regista John Maloof, che per caso li acquista in una casa d’aste. Maloof era in cerca di fotografie sulla città di Chicago per un volume fotografico, quando scopre casualmente una valigetta contenente i negativi della Maier. Coinvolto dal lavoro della fotografa, Maloof decide di ricostruirne la vita indagando la personalità dell’artista attraverso gli oggetti a lei appartenuti e di condividere la scoperta con un film documentario intitolato Finding Vivian Maier.
In questo film Maloof racconta la vita di Vivian Maier attraverso le testimonianze di coloro che la conobbero, soprattutto le famiglie presso cui lavorò e le amiche. Quella di Maier è una produzione vastissima che non era mai stata condivisa, neanche con le persone che amava.
“Bene, io credo che nulla sia destinato a durare per sempre …. Si tratta di una ruota. Se vai avanti, devi arrivare alla fine. E poi qualcuno ha la stessa opportunità di andare alla fine e così via.”
Vivian Maier riproduce la cronaca emotiva della realtà quotidiana, esprimendo nelle sue opere la sensibilità delle sue origini europee unita al sentimento di libertà e di emancipazione tipicamente americana. I soggetti delle sue fotografie sono persone che l’artista ha incontrato nei quartieri degradati delle città, frammenti di una realtà caotica che pullula di vita, instanti catturati nella loro semplice spontaneità. Molte foto testimoniano i viaggi dell’artista in giro per il mondo, con uno sguardo meravigliato e incuriosito sulla società contemporanea.
Nella serie di autoritratti, la Maier si ritrae su superfici riflettenti, specchi o vetrine di negozi, sempre con la macchina fotografica al collo, entrando a far parte di quel mondo “di strada” che cattura con i suoi scatti. Dagli anni ’70 passa alla fotografia a colori e i protagonisti delle sue opere vengono sostituiti da un nuovo interesse per elementi più astratti, oggetti, giornali e graffiti.
Alla fine degli anni ’90, ormai senza casa, la Maier è costretta a relegare tutte le sue cose in un magazzino, poi vendute all’asta. Con la riscoperta ad opera di Maloof diverse gallerie e musei nel mondo hanno ospitato mostre dedicate a Vivian Maier.
“Ho fotografato i momenti della vostra eternità, perché non andassero perduti”
Un articolo di Martina Botta
Scopri altre donne fotografe come Francesca Woodman e Diane Arbus