Ghada Amer è una artista egiziana tra le più rappresentative nel panorama culturale internazionale.
Nata a Il Cairo (Egitto) nel 1963 da madre ingegnere agronomo e padre diplomatico, Ghada Amer viaggia insieme alla famiglia tra il Medio Oriente, l’Africa Occidentale e l’Europa, fino a trasferirsi nel 1974 in Francia, che diventa il suo paese di adozione. Questi spostamenti geografici, linguistici nonché emotivi si riflettono su tutta la sua produzione artistica. Attualmente vive e lavora a New York dove si trasferisce nel 1996.
L’artista si forma all’Accademia di Belle Arti di Villa Arson a Nizza dove nel 1987 ottiene il Diplôme National d’Arts Plastiques. Dopo aver studiato per un periodo alla School of Fine Arts di Boston (Massachusetts), ritorna nell’Accademia di Nizza e nel 1989 consegue il Diplôme National Supérieur d’Expression Plastique. Nel 1991 si trasferisci a Parigi per studiare all’Institut des Hautes Études en Arts Plastiques e decide di indirizzarsi esclusivamente all’attività artistica.
Amer esordisce negli anni Novanta, precisamente con la prima personale all’Accademia dove ha studiato, esponendo un linguaggio scultoreo e pittorico con un uso dei materiali poveri. Nel 1995 partecipa alla 4° Biennale di Istanbul e l’anno dopo la galleria di Annina Nosei le dedica la prima personale in territorio americano. Nel 1997 l’artista partecipa alla Biennale di Johannesburg e a Grenoble a La Magasin con la mostra Vraiment: feminisme et art a cura di Laura Cottingham che analizza le relazioni tra il lavoro d’arte femminile francese e americano dagli anni Settanta. Nel 1999 espone alla 48 a Biennale di Venezia, invitata da Harald Szeeman, dove riceve il Premio UNESCO. L’anno dopo Amer è la prima artista islamica ad avere una mostra personale in un museo israeliano, precisamente nel Museum of Art di Tel Aviv. Nel 2001 è presente con Pleasure la sua prima personale in un museo statunitense, il Contemporary Arts Museum di Houston. Nel 2002 espone alla Gagosian Gallery di Londra e ad Art Basel con il Peace garden all’interno del giardino botanico di Miami. Nel 2005 in collaborazione con gli studenti della Wellesley College (Massachusetts) crea l’installazione Reign of Terror contro il terrorismo. Due anni dopo Ghada è presente per la prima volta in un museo pubblico italiano con la sua personale al Macro.
Già dai primi anni dell’attività artistica, Ghada Amer ricerca nuove modalità operative alternative alla pittura, attingendo al mondo della sartoria e del ricamo. La passione della madre per gli abiti sicuramente influenzano e nutrono l’immaginario della giovane Ghada, che decide di recuperare la tecnica tradizionalmente femminile del cucito trasformandolo da un processo di mera routine ad un mezzo espressivo di impatto, ma pur sempre riflessivo e prosaico, mediante il quale l’artista attua una ridefinizione del ruolo della donna nell’arte e nella società.
“Ho iniziato questo lavoro perché volevo dipingere senza usare la pittura, usando invece una tecnica ‘femminile’ per trasformare l’atto del dipingere. La volontà di trasformare la pittura senza dipingere era molto chiara nella mia mente. In quel momento non sapevo esattamente come realizzare questo proposito cucendo le immagini, ma mi piaceva l’idea di sperimentare con le implicazioni del cucito e di esplorare l’atto del cucire in relazione alla pittura” (2001).
Amer utilizza sagome ritagliate (riprese da riviste di moda femminili, ma che attingono anche all’immaginario dei cartoon e del fumetto) che poi trasferisce graficamente su tela per poterle cucire e ricamare, una tecnica questa che diventa la sua personalissima cifra stilistica. Il ricamo da pulito e lineare dei primi lavori (prima del 1992) si fa progressivamente più scomposto ed espressivo. Basti vedere le opere come Red diagonales (2000), dove l’artista integra anche delle colate di colore acrilico all’intreccio dei ricami.
I temi trattati dall’artista sono l’estremismo del femminismo, il fanatismo religioso e la seduzione del corpo. Il soggetto privilegiato sono le donne, cucite come figure predominanti, a volte ripetute nella medesima posizione. Spuntano così nel groviglio dei fili, parti di corpi e particolari intimi che appaiono e scompaiono nell’intreccio, formando progressivamente l’immagine, in una sorta di metafora del processo di ridefinizione dell’identità femminile. Da atteggiamenti stereotipati e gesti ripetitivi di un universo domestico quotidiano (vedi le Cinq femmes au travail, 1991, che rappresentano la donna nei cinque ruoli e funzioni tradizionalmente assegnati ad essa), nel 1992 le donne ricamate da Amer assumono atteggiamenti sessualmente espliciti e sono colte anche in atti di auto-erotismo, come Grey Lines (2004). Sono donne che, coscienti del loro potenziale sessuale, utilizzano lo sguardo maschile come strumento di potere e di rivolta.
“Ho voluto rappresentare la donna attraverso una tecnica identificata come femminile, e questo al fine di dare forza alle immagini (quella che chiamo doppia sottomissione) e liberarle grazie al loro potere di seduzione”.
Ghada con le sue opere offre una gancio destro ad un mondo maschilista che considera la donna come mero oggetto erotico non cosciente rivendicando, di contro, un ruolo sociale femminile ben delineato. La sua è una riflessione sulla condizione delle donne che arriva a criticare severamente i discorsi culturali radicali e l’insieme di stereotipi e di luoghi comuni.
Inoltre parallelamente alle figure femminili, Amer lavora sul linguaggio attingendo al proprio retaggio islamico. L’artista “gioca” così con le parole e dona loro l’immediatezza e lo stesso valore delle immagini.
“Quando penso di usare il testo, non penso di tradurlo in disegni. Copiarlo significa già illustrarlo”.
Una delle opere più esplicative nell’uso da parte di Amer del linguaggio è l’ Encyclopedia of Pleasure dove l’artista trascrive e ricama con filo dorato su cinquantasette cubi i passi salienti e i titoli dei capitoli di questo testo enciclopedico arabo misconosciuto, che risale al tardo X e al primo XI secolo. Così sui cubi si leggono queste scritte “Il desiderio delle donne per il coito” o“Le opinioni degli amanti sull’unione sessuale”. Dell’opera l’artista dice:
“Ricamo questo lavoro come un omaggio alle donne, domandando loro (e a me stessa) se abbiamo una voce diversa da quella di un uomo per descrivere il mondo. Ho scelto di illustrare i passaggi tratti da questo libro proibito come una protesta contro la perdita di libertà”.
Un articolo di Daisy Triolo