Annette Messager è un’artista francese tra le più conosciute a livello internazionale.
Nata nel 1943 a Berk in Francia, Annette Messager studia all’Ecole supérieure des Arts Décoratifs di Parigi (1962-1966) e grazie ad un premio di fotografia inizia a spostarsi da un paese all’altro. Dagli anni Ottanta ad oggi, Messager è presente in moltissime attività espositive e rassegne di tutto il mondo. La sua prima retrospettiva è “Annette Messager, Comédie Tragédie 1971-1989” del 1989 al Musée de Grenoble (la stessa presentata al Kunstverein di Bonn e Düsseldorf, negli Stati Uniti e in Canada). Poi seguono tra le più importanti: la personale del 1995 al Musée d’Art Modern de la Ville de Paris; nel medesimo anno “Feminism/masculin, le sexe de l’art” al Centre Pompidou; tra il 1995 e il 1996 la retrospettiva curata da Los Angeles County Museum of Art (presentata anche al MoMA di New York e all’Art Institute di Chicago); nel 2005 è presente nel Padiglione Francese alla Biennale di Venezia dove vince il Leone d’oro per l’installazione Casino; nel 2008 al Mori Art Museum di Tokyo; nel 2010 al Zacheta National Gallery di Varsavia.
Vicina ad altri artisti come Christian Boltanski (suo compagno) e Gina Pane, sin dagli esordi Annette Messager prende le distanze da un’idea tradizionale di arte a favore di una maggiore libertà espressiva. Le sue opere infatti sono collage, installazioni, assemblaggi, sculture. La sua è una tecnica che si compone di vari materiali, che vanno dall’“object trouvé” all’utilizzo di fotografie (proprie o altrui), dai tessuti alla scrittura vera e propria, dal ricamo e l’uncinetto ai libri, dalla pittura ai disegni, dal metallo al materiale video, dalle matite colorate ai led elettronici, dai giocattoli agli animali imbalsamati. Utilizzando fin dagli anni Settanta una quantità di materiali diversificati non tradizionali e riprendendo in parte lo stile dei quotidiani e l’immaginario delle copertine delle riviste, Messager sembra combinare la cultura “alta” e quella “bassa”, colmando la distanza che sussiste tra l’Arte ufficiale e il quotidiano, eliminando di fatto qualunque tipo di gerarchia e ribaltando stereotipi e archetipi.
La sua è una riflessione sul fare arte e sull’essere insieme donna e artista. Difatti, nelle sue opere celebra l’immaginazione creativa tipica delle donne, di cui assume lo statuto con orgoglio ma senza l’ostilità di una femminista militante. Scrive:
“In tutte le mie opere ho sempre cercato di mettere insieme materiali diversi tra loro. Non si tratta tanto di una strategia, ogni opera veniva giudicata in termini di forza, di potere, in definitiva, di virilità. Quindi ho cercato di assumere una mentalità più aperta verso i materiali, che mi ha permesso di non considerarli rigidamente e di far partecipare alla mia opera attività tipicamente femminili. Era certamente in contrasto con il gusto corrente del tempo che privilegiava un’arte al maschile, la “vera” pittura, la scultura….ma più che di una strategia premeditata si trattava di una reazione istintiva. Sentivo che opporre questi piccoli dettagli quotidiani della femminilità all’arte alta era già di per sé un’affermazione critica (…). La mia opera, quindi, non è una riflessione critica sui media, ma una riflessione sul lavoro di una donna artista”. (2002)
I suoi lavori sono molto vicini come immaginario al surrealismo, toccano punti di comunanza perfetta con la Body Art (nel linguaggio del corpo, nell’essenza della femminilità e nell’inversione dei ruoli sociali del maschile e del femminile), sono vicini come impostazione visiva e pratica all’Art Brut, e sfiorano l’arte concettuale.
In tutte le creazioni di Messager si trova una sorta di accumulazione compulsiva di segni del quotidiano e delle tracce della memoria, in una specie di grande e personale catalogazione di tutto il suo vissuto. L’artista infatti si definisce sia una collezionista, per avere l’abilità di raccogliere intorno a sé oggetti del vissuto “come maniera di contrastare la morte”, sia una donna artista. I suoi album- falsi diari “Journal intimes” (anni ’70) sono una delle dimostrazioni della sua capacità di conservare e lavorare con le immagini prese dalle riviste o di collezionare i proverbi sulle donne che suggeriscono tracce di lettura più profonde nel suo voler “nascondere mostrando” (usando le parole dell’artista). Questo porta lo spettatore “voyeur” nella sua sfera intima, come se la spiasse dal buco della serratura.
Le sue tematiche sono il corpo, la dualità della realtà personale e sociale, l’appropriazione di esperienze attraverso il tempo (con l’aiuto appunto dell’accumulo di oggetti e della loro manipolazione), la frammentazione (delle cose rappresentate e della rappresentazione dell’opera stessa), dove in particolare l’artista riprende i “Frammenti di un discorso amoroso” di Barthes che mostra come nella nostra società non si possa parlare della donna che a frammenti, come di primi piani sul suo corpo. In riferimento a questa tematica l’artista stessa afferma:
“È proprio l’idea di totalità, di interezza, che trovo spaventosa, per me equivale alla fine di qualcosa”.
Messager da vita a delle serie di installazioni tra le più originali. Degli anni Settanta sono i passerotti impagliati vestiti con abitini di maglia (1971-72) e i proverbi sulle donne ricamati su pezzi di stoffa (1974). A partire dagli anni Novanta, invece, l’artista abbandona la dimensione intimista per approdare alle opere monumentali di grande impatto visivo, dove intere sale sono conquistate da allestimenti grandiosi: Les piques (1991-93, aste metalliche, stoffe, bambole), Pénétration (1993-94, organi e parti del corpo in stoffa appesi), Plaisir-déplaisir (1997, stoffe, corde, plastica, bambole, peluches, fotografie, specchi), Dépendance Indépendance (1999, oggetti diversi appesi al soffitto).
Una delle serie più poetiche è Mes voeux (I miei desideri, 1988-1989) dove l’artista assembla e appende mediante corde una serie di fotografie incorniciate che ritraggono parti di corpi umani, dove emergono bocche, occhi, nasi, sessi, un lavoro che presenta la stessa energia di un corpo che non riesce a trovare la sua totalità se non nel suo essere frammentato.
Con Articulés-Désarticules (2001-2002), presentata la prima volta a Documenta XI nel 2002, il movimento meccanico entra a far parte delle installazioni. Qui i pupazzi e le parti del corpo umano sono animate da azioni ripetitive che evocano da una parte il funzionamento ciclico di un organismo e dall’altra l’immagine teatrale di una danza macabra.
” Un’artista dice sempre la stessa cosa, ma in modi diversi. Si va più lontano, si regredisce , si fa un salto in avanti. Ci sono momenti più introspettivi. Come il mondo si modifica, il lavoro si evolve e, invecchiando, si diventa più umani. Ho le illusioni di tutti, lo stesso desiderio di amore, l’angoscia per il tempo che passa. Queste paure mi portano verso il gioco, forse come un esorcismo. Sono più giocosa, più infantile e più seria e certamente staccata da un sacco di cose, come la paura di non sedurre, o di non esserci…”.
Un articolo di Daisy Triolo