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Shirin Neshat: arte contemporanea e islamismo

Shirin Neshat è un’artista iraniana naturalizzata statunitense, nata a Qazwin nel 1957. Divenuta famosa negli anni novanta nel campo della fotografia e della videoarte, negli ultimi tempi ha unito a queste vocazioni anche quella per la regia cinematografica.

Attraverso la sua opera, Shirin Neshat intende comunicare le contraddizioni della società islamica, prestando particolare attenzione alla condizione della donna. I temi predominanti nei lavori dell’artista sono le discriminazioni di genere e i rapporti complicati (anche sentimentali) che si instaurano tra uomini e donne. L’artista si sofferma anche sulla delicata situazione politica e sociale che caratterizza l’Iran, come anche gran parte del mondo islamico.

“Quello che cerco è l’ universalità, una storia iraniana che possa valere per tutti. Per questo l’ attenzione ai gesti: sono comuni e tutti possono capirli. L’ arte islamica è bellezza, geometria, astrattismo, minimalismo. C’ è dolore e c’ è bellezza, l’ arte sta nell’ equilibrio.”

Tra le sue opere più famose, si ricorda la serie di fotografie Women of Allah (1993-97), dove le protagoniste sono delle donne velate, fotografate a figura intera o solo alcuni dettagli del corpo, come mani o piedi. La pelle di queste donne è  dipinta i versi di opere di poetesse iraniane che si ribellano agli stereotipi sulla donna islamica. “Una parte di me si e’ sempre ribellata allo stereotipo occidentale che dipinge le donne islamiche come delle vittime silenziose. La mia arte, senza negare la repressione, vuole testimoniare il potere delle donne islamiche che pochi consocono e la loro continua protesta all’interno della cultura islamica”.

In Seeking Martyrdom (1995), l’artista si immortala con un fucile tra le mani, colorate di rosso, ponendo l’accento sulla situazione politica del Medio Oriente e comunicando l’ideale della donna che si schiera, rompendo in un certo senso i legami di subordinazioni imposti dalla società. Nella serie Rapture (1999), Shirin Neshat affronta il tema della discriminazione fra i sessi contrapponendo il potere di certi uomini rinchiusi nella fortezza al destino di altre donne in riva al mare. La fotografia comunica come le sorte di queste donne possa traformarsi tanto in libertà quanto in morte.

Nel 2009, esordisce come regista nel film Women Without Men (premiato a Venezia con il Leone d’Oro) che narra quattro storie di donne che si intrecciano. La pellicola è ambientata durante il colpo di Stato in Irandel 1953 che terminò con il ritorno dello Scià.

Infine, Book of Kings (2012), uno dei suoi ultimi lavori, prende il nome dal poema epico dell’autore persiano Ferdowsi e consiste in una serie fotografica nella quale sono immortalati i giovani protagonisti della Primavera Araba.

 

 

 

 

 

 

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