Nato nel 1964 a Wuhan, nella provincia di Hubei, Zeng Fanzhi è stato tra gli artisti più popolari e più quotati della Cina degli anni ‘90.
Dopo aver frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Hubei, tra il 1987 e il 1991, si interessò alle tecniche pittoriche dell’espressionismo tedesco, utilizzate in molti dei suoi dipinti.
Cresciuto durante la rivoluzione culturale degli anni ’60, l’artista esprime attraverso i suoi lavori il senso di alienazione e di oppressione caratteristico di quegli anni, interpretandoli in maniera introspettiva e personale.
Tra le opere più importanti di Zeng Fanzhi c’è “Hospital series”, esposta in occasione della mostra di Hong Kong “China’s New Art, Post-1989” nel 1993: degli oli su tela che vogliono esprime il connubio tra pittura e psicologia. I soggetti si ispirano a eventi realmente accaduti in una clinica non lontana da dove viveva artista.
I personaggi dei dipinti sono rappresentati in maniera non mimetica, con le articolazioni e la testa di grandezza maggiore rispetto al resto del corpo. Zeng Fanzhi cattura il dolore, il turbamento e l’orrore dei pazienti, giustapponendo alle figure dei malati immagini raffiguranti brandelli di carne sanguinanti, simbolo della debolezza e della vulnerabilità della natura umana.
Nel 1994, Zeng Fanzhi da vita alla serie “Mask series”, dipinti che ritraggono personaggi ben vestiti con il volto coperto da maschere bianche e dallo sguardo perso nel vuoto.
Per questo lavoro, Zeng ha voluto illustrare la rapida trasformazione della Cina avvenuta nella prima metà degli anni ’90. Ad essere rappresentati sono i nuovi funzionari governativi, vestiti di tutto punto con giacca e cravatta, nell’atto di esibire una trasformazione che coinvolge solo la superficie e l’apparenza che vogliono mostrare. I volti di questi personaggi sono nascosti da maschere con espressioni inafferrabili, che non lasciano trapelare alcuna emozione. Il contesto in cui si trovano è uno sfondo piatto e irreale, a sottolineare l’artificialità sospetta di questi funzionari inoppugnabili, ma anche la difficoltà di instaurare relazioni sociali nella società contemporanea cinese.
A questa serie appartiene il dipinto “Ultima Cena”, attraverso il quale l’artista esprime una critica alle riforme economiche degli anni ’90 in Cina, sottolineando le conseguenze negative che hanno avuto sulla popolazione.
L’opera ritrae Cristo e i dodici apostoli con addosso delle maschere bianche e vestiti come i membri del gruppo giovanile comunista cinese, ad eccezione di Giuda che indossa una cravatta color oro, che sta a simboleggiare il denaro e il capitalismo occidentale. La tavolata è imbandita con fette di anguria color rosso sangue.
Lo stile naturalista che caratterizza la produzione degli anni 2003-2004 trae ispirazione dalle opere degli artisti del periodo della dinastia Song (960-1290 d.C) e dalle loro rappresentazioni paesaggistiche. Questi soggetti tradizionali sono rielaborati in un contesto caotico traboccante di colori che ingloba la figura umana quasi fosse risucchiata dalla potenza della natura. La tecnica si basa su una sorta di dripping meditato, ottenuto impugnando con entrambe le mani i pennelli, per lasciare impresse sulla tela nel processo delle tracce del suo subconscio.
Un articolo di Ilaria Santini